Tratto da Lutto proibito: il dolore taciuto dell'aborto

di Theresa Burke, Ph.D.

    Capitolo 7: Collegamenti con il passato


Nei primi sei anni successivi al suo aborto, i meccanismi di difesa di Caitlyn erano saldamente sotto controllo. Ci pensava raramente e non era cosciente né del dolore né del senso di colpa. Poi, senza alcun preavviso, le sue difese crollarono in modo inaspettato:

            Ricordo di aver portato il mio cane dal veterinario. L’avevo presa quando era una cucciola ed ero molto attaccata a lei. Si chiamava Vagabond. Si ammalò gravemente e il veterinario mi consigliò di sopprimerla perché stava soffrendo moltissimo.

            Mentre organizzava il da farsi mi resi conto che non potevo farlo. Dissi al veterinario che facevo molta fatica ad acconsentire alla morte di un essere vivente. Mentre pronunciavo queste parole, il ricordo del mio aborto ritornò come un senso di nausea travolgente. E feci esattamente questo pensiero: “Beh, hai ucciso tuo figlio; perché non puoi permettere che il tuo cane muoia?”

            Pensai che avrei vomitato lì sul posto. Iniziarono a tremarmi le gambe. Non riuscivo a riprendere fiato. Il mio aborto non mi aveva mai disturbato fino a quel preciso istante. Provai un forte senso di colpa. Alla fine, fu mio fratello a portare il cane dal veterinario al posto mio. Probabilmente mi resi conto che non avrei potuto rivivere ancora quel dolore.

            Dopo la sua morte, Vagabond mi mancava. Ma mi mancava ancora di più mio figlio, che non sarebbe mai dovuto morire. Continuavo a pensare che avrei dovuto avere un bambino di sei anni con me! Era davvero orribile.

            I miei amici mi trovavano ridicola perché piansi in continuazione per quasi un anno. Scoppiavo in lacrime al lavoro nei momenti più inopportuni.  Non riuscivo a trattenere il mio dolore. La cosa peggiore era che i miei amici dicevano: “perché non ti prendi un altro cane?” Questo mi faceva piangere ancora di più, perché non era quello stupido cane a mancarmi… mi mancava mio figlio. Ovviamente questo non potevo dirlo a nessuno!”

Questo è un esempio di come le emozioni seppellite possono improvvisamente manifestarsi con forza e infrangere i meccanismi di difesa innalzati dalla propria mente. I meccanismi di difesa di Caitlyn erano rimasti saldamente radicati per anni. Ma quando il suo veterinario le ha chiesto di autorizzarlo a sopprimere il suo cane, tale richiesta ha prepotentemente riportato al presente quell’evento del passato in cui Caitlyn aveva autorizzato la morte del proprio figlio nel grembo.  Questo legame tra presente e passato viene chiamato “connector”. In questo caso, l’evento del presente che si collegava al passato era stato talmente forte e le accuse da parte del suo inconscio talmente inaspettate e beffardamente brutali, da provocare il crollo totale dei suoi meccanismi di difesa. Le sue emozioni represse si erano impadronite della parte cosciente della sua mente e non potevano più essere ignorate. Tuttavia, in mancanza di un sostegno e di comprensione adeguati, ci volle del tempo prima che quei sensi di colpa e sentimenti di dolore potessero finalmente essere elaborati.

 

LEGAMI CON IL PASSATO OVUNQUE

In poche parole, mentre i meccanismi di difesa cercano di tenere a distanza dalla parte cosciente della mente le emozioni indesiderate, queste sono costantemente pronte a infrangere le difese e guadagnare attenzione. Uno dei mezzi principali utilizzati per fare ciò, è attraverso i cosiddetti “connectors”, ovvero eventi che si verificano nel presente che portano con sé un legame con l’evento doloroso del passato, in particolare con un aborto passato, facendo scattare ricordi o scatenando emozioni spiacevoli che si vorrebbe evitare.

Qualsiasi persona, luogo, evento o circostanza del presente che somigli seppur vagamente ai ricordi indesiderati legati alle emozioni represse, può far scattare questo legame tra il presente e il passato. Quando questi legami si creano, le emozioni represse verranno a galla. Nella maggior parte dei casi, saranno prontamente respinte dai meccanismi di difesa della mente. Inoltre, la mente è ben consapevole del tipo di aggressione messa in atto dalle emozioni indesiderate e, consciamente o inconsciamente, i fenomeni collegati all’esperienza dolorosa. Nel capitolo cinque, ad esempio, abbiamo osservato come molte donne eviteranno le donne incinte o i neonati in quanto queste figure rappresentano il collegamento alle loro emozioni irrisolte in seguito a un aborto passato. In tali esempi, è molto difficile evitare completamente le situazioni (in questo caso bambini e donne incinte) che fanno scattare i ricordi dolorosi e riaffiorare emozioni spiacevoli.

Altri eventi che scatenano i legami tra il presente e il passato sono più facilmente evitabili. Ad esempio, il primo luogo in cui Sara mangiò dopo il suo aborto fu da Taco Bell. Da quel momento in poi sviluppò un’avversione per il cibo messicano. Prima le piaceva, ma ora non più.  Soltanto dopo aver fatto un percorso di counseling post-aborto, si rese conto che per lei il cibo messicano era diventato un fenomeno collegato al suo aborto passato. Ogni qualvolta vedeva tacos o burritos su un menù, i suoi meccanismi di difesa, sempre in stato di allerta, la avvertivano di evitare il seccante cibo messicano che in lei faceva scattare quel ricordo e tutte le emozioni ad esso collegate, spingendola quindi a optare per un altro cibo.

            In occasione di una seduta di counseling di gruppo post-aborto, Sandra riferì di essersi accorta di un suo simile comportamento irrazionale. Per anni, l’aveva irritata “l’arroganza” di qualunque uomo frequentasse che al ristorante pagava il conto con una carta di credito. Se l’uomo ticchettava la carta di credito sul tavolo, lei ne era particolarmente disgustata. Solo dopo aver iniziato ad affrontare il proprio lutto post-aborto, Sandra si rese conto che proprio questo episodio della carta di credito scatenava il ricordo del suo aborto passato… infatti il suo fidanzato aveva pagato per l’aborto, ticchettando la carta di credito sul bancone dell’accettazione. Tale fenomeno visivo e sonoro collegato all’esperienza dell’aborto, aveva generato per molti anni in Sandra una considerazione irrazionale degli uomini, fino al momento in cui la donna non portò alla luce il legame tra l’avvenimento del presente e l’evento doloroso del suo passato.

Alcune donne farebbero qualunque cosa per evitare gli eventi che riportano al ricordo di un aborto passato. Ad esempio, Sherry faceva ogni giorno una deviazione di 35 minuti per andare al lavoro e per ritornare a casa, al fine di evitare di passare davanti alla clinica Women’s Health nella quale si era sottoposta all’interruzione di gravidanza:

Devo assolutamente tenermi alla larga da quel luogo. Mi fa’ andare in tilt. Preferisco guidare per 150 chilometri anziché passare davanti a quel posto. Non ce la faccio proprio. Mi sento male.”

Sherry si rendeva conto del motivo per cui stesse evitando la clinica. Tina, d’altro canto, sviluppò una più generale avversione per la musica, che non riusciva a comprendere:

            “Dopo l’aborto facevo moltissima fatica ad andare in qualsiasi posto in cui suonassero della musica. Qualunque tipo di musica. L’unico ricordo che avevo del mio aborto erano le canzoni trasmesse in sottofondo. In seguito alla mia esperienza, quando sentivo della musica, iniziavo a sudare, il mio battito cardiaco accelerava e mi sentivo spaventata e agitata. Avevo sempre la sensazione che sarebbe accaduto qualcosa di orribile.”

Per Nancy, uno dei fenomeni collegati all’esperienza dell’aborto erano le condizioni climatiche. Per parecchio tempo non riuscì a capire perché vivesse giorni di profonda tristezza e depressione. Alla fine Nancy si rese conto che le sue emozioni negative erano collegate alle giornate di nebbia e umidità, ovvero a quelle stesse condizioni climatiche presenti il giorno in cui aveva abortito:

            “Ricordo l’umidità che c’era nell’aria il giorno del mio aborto. La terra era bagnata dalla pioggia… e dalle mie lacrime.”

Per molte donne, i medici, gli ospedali e le apparecchiature chirurgiche rappresentano dei potenti collegamenti all’esperienza dell’aborto passato. Rianna ebbe una grave reazione post-aborto quando si recò a trovare un’amica in ospedale:

“Dal giorno dell’aborto ho sempre odiato medici, ospedali e sale

d’attesa. Ricordo quando andai in ospedale a trovare una mia amica rimasta coinvolta in un incidente d’auto. Stava bene, cercava solo compagnia. Ricordo che mentre camminavo nel corridoio, venni sopraffatta da dolore, ansia e da un senso di panico inspiegabile. Non riuscivo a trattenere il pianto.

Ricordo che nell’ascensore piangevo così forte da non riuscire a vedere il tasto del numero del piano giusto che dovevo premere. Ero così imbarazzata per il fatto di non riuscire a smettere di piangere. La gente mi guardava e ricordo di aver pensato che avessero ipotizzato che una persona a me cara fosse morta, vedendomi così addolorata. Mi sentii talmente stupida! Alla fine non riuscii nemmeno ad andare dalla mia amica. Dovetti lasciare  l’ospedale.

Mi ci volle un po’ per comprendere la causa della mia crisi isterica.  Tornando a casa mi resi conto che l’ultima volta che ero stata in un ospedale era stato il giorno del mio aborto. E, a dire il vero, se qualcuno nell’ascensore poteva aver pensato che avessi subito un lutto, non si sbagliava. Era accaduto molto tempo prima, ma non avevo mai elaborato il lutto. Ancora oggi, ogni volta che metto piede in un ospedale, avverto un senso di grande ansia e tristezza.”

Le donne che hanno vissuto l’aborto spesso riferiscono che gli esami ginecologici si rivelano essere esperienze spaventose e cariche di ansia, per via dei numerosi e forti collegamenti all’esperienza dell’aborto. Wendy ha descritto come segue il suo attacco di panico:

“Ricordo un episodio in particolare, verificatosi quando ero dal ginecologo per sottopormi a una visita di controllo e a un pap test. L’infermiera sollevò le staffe da sotto il lettino ginecologico e mi indicò di infilarci i piedi. Ricordo che in quella posizione fissavo il soffitto in cartongesso sopra di me. All’improvviso, fui colta dal panico. In seguito mi resi conto che quello era lo stesso tipo di soffitto in cartongesso che avevo fissato durante l’interruzione di gravidanza.  Riuscii soltanto a dire: “devo alzarmi… devo alzarmi!” Iniziai a gridare: “devo andarmene da qui!” Il medico mi aiutò a tirarmi su e mi disse di mettere la testa tra le gambe per fermare l’iperventilazione in corso. Riuscivo a malapena a riprendere fiato. Le assistenti furono molto gentili e dolci e iniziai lentamente a calmarmi. Poi mi offrirono del succo d’arancia… ancora un altro dettaglio che si collegava all’aborto passato… Era la stessa bevanda che mi diedero dopo l’interruzione di gravidanza… e ancora oggi non sopporto il succo d’arancia.”

Le persone, come i luoghi e gli avvenimenti possono far scattare questo legame problematico. I ricordi traumatici dell’aborto di Jeannette si scatenarono inaspettatamente quando vide il padre del figlio abortito, 14 anni dopo l’interruzione di gravidanza:

            “Lavoravo come impiegata di sportello in banca. Vidi Paul recarsi allo sportello per effettuare un’operazione. Il mio stato emotivo esplose. Fui invasa da un’ondata di ricordi ed emozioni. Iniziai ad avere attacchi di panico. Smisi di dormire. Passavo la metà della notte distesa sul letto a piangere.”

All’inizio Jeannette non aveva collegato i suoi attacchi di panico all’aborto. Sconvolta dalla sua reazione, si sforzava di capire perché mai si manifestassero:

            “La seconda volta che venne in banca, mi guardò dritto in faccia. Non credo che mi avesse riconosciuto. Iniziai ad avere i sintomi fisici dei crampi e quasi svenni. Dovetti lasciare il lavoro. A quel punto, sapevo di avere bisogno di aiuto. Pensavo di impazzire.”

La sensazione di crampi riferita da Jeannette era molto reale. L’aver visto Paul aveva scatenato un trauma psichico sepolto che era riemerso sotto forma di crampi, vale a dire lo stesso tipo di dolore che aveva provato durante l’aborto. Pensando a Paul e alla loro relazione, si ricordò dell’aborto, ma come se stesse osservando da lontano o stesse guardando un film straniero con i sottotitoli. Il suo dolore per l’aborto emerse come un’ondata di maremoto e pianse per giorni in preda a una totale angoscia.

            Per molti, le trasmissioni televisive che trattano argomenti relativi all’aborto suscitano intense emozioni: rabbia, paura e atteggiamenti difensivi. Secondo un’indagine condotta dall’Elliot Institute (Ndt: ente no-profit di ricerca e indagini che s’interessa dell’impatto dell’aborto sulle donne, gli uomini e la società), la metà delle donne intervistate ha riferito che le emozioni negativi riguardanti il loro aborto si fanno più intense quando i mass media trattano dello sviluppo fetale o quando ci sono notizie o commenti che toccano l’argomento dell’aborto sotto i vari punti di vista. Rita spiega:

            “Non sopporto di guardare la televisione o di scorrere i canali. Ho una tale paura di imbattermi in un dibattito sull’aborto al telegiornale. In questi casi non guardo mai la TV. Mi manda fuori di testa che questo argomento venga trattato nel notiziario. Voglio solo dimenticarmene.”

Quando il sentir parlare dell’argomento aborto attiva ricordi e sentimenti profondamente repressi, le donne e gli uomini che solitamente tirano avanti evitando il problema, si ritrovano incapaci di affrontare la tematica, nemmeno con un minimo livello di obiettività. È più probabile che si arrabbino e assumano un atteggiamento di accusa.

Un altro momento che può riportare al presente ricordi dolorosi, comune a donne e uomini che hanno vissuto l’esperienza abortiva, è sentir parlare di Dio, delle chiese e di qualsiasi cosa abbia a che fare con la religione. Questo perché l’aborto è chiaramente un’importante tematica morale. Per coloro che cercano di evitare di pensare a questo argomento, potrebbe rivelarsi necessario allontanarsi dal credo o dalle attività religiose in cui prima erano coinvolti. Per Shawn, le chiese e i neonati facevano entrambi scatenare ricordi spiacevoli:

            “Dopo l’aborto iniziai a soffrire di attacchi di panico e a provare sensazioni negative ogni volta che entravo in una chiesa. Per me era anche difficile vedere altre donne incinte. Mi sentivo un’assassina di bambini. Avevo paura a tenere in braccio i neonati.”

Il collegamento tra l’aborto e un credo religioso può portare a comportamenti che inducono a evitare la religione e ad allontanarsi da essa. La testimonianza di Kitty:

            “La domenica cantavo in un coro gospel della chiesa. Dopo l’aborto non ce la facevo a mettere di nuovo piede in chiesa. Ero convinta che Dio mi odiasse per quello che avevo fatto e non mi sentivo degna.  Mi convinsi che se fossi andata in chiesa sarei stata un’ipocrita.”

 

REAZIONI AGLI ANNIVERSARI

 Le date degli anniversari spesso possono far scattare ricordi traumatici. Nel caso dell’aborto, i ricercatori hanno riscontrato che più che in altri periodi, le donne sono maggiormente soggette a fasi di depressione, manifestazioni di pensieri suicidi, incubi, difficoltà nella concentrazione, dolori addominali, crampi, emicrania e aumento di conflitti nelle relazioni, a mano a mano che si avvicina l’anniversario dell’interruzione di gravidanza o la data prevista del parto del figlio abortito. Oltre agli anniversari, le ricorrenze come la festa della mamma o altre festività che hanno a che fare con i bambini (ad esempio Natale e Halloween), possono creare questo legame tra il presente e il passato che aggrava i sintomi post-aborto. Questi momenti possono tramutarsi in abituali e prevedibili cause scatenanti dei ricordi traumatici. Nel caso di Rosetta, la donna subiva un doppio colpo:

            “Mio figlio sarebbe nato a Natale. Ora io detesto il Natale. I canti natalizi mi uccidono e qualsiasi cosa abbia a che fare con Gesù bambino mi sconvolge. Provo una tristezza straziante quando passo davanti ai negozi di vestitini da neonato. Cerco di tenermi alla larga dai bambini perché mi intristiscono e mi fanno pensare a quello che avrei potuto avere. Ma il Natale è davvero la cosa peggiore. È il periodo dedicato ai bambini e io ho abortito il mio, quindi non posso godermi questa festa. Ogni anno devo stringere i denti.”

Spesso il collegamento con gli anniversari non è consapevolmente riconosciuto. Fu soltanto dopo aver iniziato ad elaborare la sua esperienza post-aborto che Bonnie riuscì a comprendere la mancanza d’interesse per la giornata del Martedì Grasso:

“Ogni anno mi capitava di essere depressa. Succedeva sempre a febbraio, durante il periodo del Martedì Grasso. In questo periodo si respira continuamente un clima di festa e divertimento. Ma io non riuscivo a entrare in quest’atmosfera allegra. Volevo solo trascinarmi a letto e lasciare che sparisse tutto. A volte mio marito andava alle feste senza di me e questo mi faceva infuriare. Mi sentivo così alienata e depressa! E non capivo il perché. Non mi ero mai concessa di pensare  a una presunta data del parto perché “non ci sarebbe mai stato”. Fare i calcoli lo avrebbe reso reale. Dopo aver partecipato a un ritiro post-aborto, una sera mi misi a sedere e calcolai la data di nascita approssimativa di mio figlio e infatti il parto sarebbe dovuto avvenire proprio nel bel mezzo del Carnevale. In tutti quegli anni, il mio corpo sapeva  che ero in lutto, ma io non avevo mai collegato la depressione all’aborto. Avevo distolto la mia attenzione dalla perdita… per tutti quegli anni!”

Un’altra delle mie pazienti, Carol, era stata parecchi anni in terapia cercando di individuare la causa di una pesante depressione che l’aveva resa apatica, demotivata e l’aveva spinta a rendere meno delle sue possibilità sul lavoro. Purtroppo, la sua psicologa diede per scontato che l’abuso dimenticato e da lei subito durante l’infanzia, fosse l’origine del suo stato di impotenza paralizzante e dell’apparente amnesia. Ma il suo inconscio le inviò degli indizi precisi il 24 febbraio, ovvero il giorno dell’anniversario dell’aborto, quando Carol scrisse sul suo diario quanto segue:

“24 febbraio…

Sembra buffo… come se conoscessi questo giorno…

Che cosa c’è da ricordare di questo giorno?

Un ricordo offuscato è il rituale del mio inconscio

che mi dice che cosa posso ricordare ora

e cosa posso lasciar perdere,

in che cosa è giusto lanciarsi

e quando devo uscire di scena.

Che cosa non può essere sopportato

e che cosa deve essere cancellato.

Come ho potuto dimenticare questo giorno?

È il giorno in cui ho abortito…

Aborto… la mia penna trema mentre scrivo questa parola.

Sono stata tre anni in terapia, dando sempre la stessa stupida risposta.

Non mi ricordo, credo di aver dimenticato.

Oggi parliamo di qualcos’altro.

Non ricordo di essere stata abusata. Lo sono stata?

Riescono tutti a vedere che il mio dolore è insopportabile?

Così come ho fatto con la vita di mio figlio, ho eliminato il dolore,

dimenticando quanto era accaduto.

Come un sogno, come il vapore, non c’è mai stato… o forse sì?

Mi resta l’incertezza di chi sono,

perché non riesco a ricordare chi ero

né la vita che ha cercato di venire da me.

E come mi sono sentita quando è stata distrutta.

Non ci sono emozioni. Soltanto uno spazio in bianco dove altre persone scrivono le pagine della mia vita decidendo chi vogliono che io sia.”

Qualcosa riguardo all’annotazione sul diario, diede a Carol la vaga sensazione che ci fosse un’altra perdita all’origine della sua profonda tristezza. Le ci vollero 15 anni per scrivere quella parola: “aborto.” Ci vollero altri quattro anni per trovare la forza di affrontarlo. Fu allora che partecipò a uno dei miei gruppo di supporto. Ascoltare le storie di altre donne servì a confermare la validità delle sue reazioni. Sebbene Carol facesse ancora fatica a ricordare i dettagli del suo aborto, quelle storie rappresentarono un mezzo per tirare fuori le sue forti emozioni e il dolore. Ripensandoci, Carol rimase stupita di essere riuscita a eliminare dai suoi ricordi,  con un tale successo, un avvenimento così drammatico.

            Sebbene non si tratti strettamente di una reazione agli anniversari, molte donne scoprono che la Festa della Mamma è un avvenimento che può far scattare il legame tra il presente e le problematiche derivanti da un aborto irrisolto. Per Rachel, la causa scatenante fu acquistare un biglietto di auguri per la Festa della Mamma.

            “Ero andata a comprare un biglietto di auguri a mia madre per la Festa della Mamma. Mentre leggevo i biglietti, provai improvvisamente irritazione e ansia. Uscii dal negozio perché temevo di scoppiare in lacrime. Continuavo a ripetere a me stessa: “devo uscire di qui!” Pensai che fosse a causa degli ormoni o del livello di zuccheri nel sangue perché stava per venirmi il ciclo. La stessa settimana tornai per la seconda volta al centro commerciale per comprare il biglietto. Lessi altri biglietti “sdolcinati” e mi sentii nuovamente turbata. Ero sopraffatta dai miei sentimenti!  Alla fine presi un biglietto senza nemmeno pensare. Fu una cosa così strana… acquistai un biglietto con l’immagine di una madre che teneva in braccio un neonato. In seguito, quando lessi il biglietto, iniziai a piangere così tanto e compresi perché mi ero sentita tanto agitata. Quella era un’altra Festa della Mamma in cui io non sarei stata festeggiata, perché mio figlio era stato abortito. Fu una presa di coscienza dolorosissima. Piansi per giorni interi. Non diedi mai il biglietto a mia madre, perché pensai che in realtà quel biglietto fosse destinato a me.”

Per alcune donne, un diverso tipo di calendario funge da conto alla rovescia per il dolore. Ad esempio Deirdre, non aveva particolari ricordi del suo aborto finché la figlia non compì 16 anni. A quel punto Deirdre venne colta da ansia e agitazione e iniziò a “soffocare” sua figlia mostrandosi iperprotettiva e maniaca del controllo. Alla fine si rese conto di essere terrorizzata al pensiero che la figlia potesse cacciarsi nella stessa situazione in cui lei stessa si era trovata all’età di 16 anni: incinta e intenzionata ad abortire.

            Una volta che Deirdre capì i motivi che la portavano ad essere ansiosa, cominciò a provare il dolore e la depressione per l’aborto praticato. Riconobbe l’aborto dimenticato come il più grande trauma della sua vita. Purtroppo, sebbene Deirdre ammettesse il motivo della sua ansia e il nesso con lo sviluppo sessuale della figlia sedicenne, non fu in grado di spiegare alla ragazza la causa della sua apprensione e dei suoi timori. La vergogna le impedì di raccontare alla figlia dell’aborto e il suo impatto su di lei. Il suo imbarazzo, la sua bassa autostima e la vergogna ridussero al silenzio ogni tipo di comunicazione importante che avrebbe potuto condividere

 

REAZIONI MENSILI

Per Natalie, uno dei fenomeni più significativi collegati all’esperienza dell’aborto, erano le mestruazioni. La vista del sangue era simbolo di morte e un doloroso promemoria del suo grembo vuoto. “Ogni giorno del  ciclo mi ricorda il mio aborto”, spiega. “Non riesco a sopportarne la vista. Mi viene il panico e poi la depressione”. Assumendo la pillola anticoncezionale, la durata delle mestruazioni di Natalie si era ridotta da cinque a due giorni. Ha affermato di non aver mai pensato di interrompere la pillola, semplicemente per poter ridurre la durata del suo ciclo.

            La reazione cosciente di Natalie potrebbe essere indicativa di una reazione inconscia ancor più diffusa. Una ricerca effettuata su un campione di donne giapponesi di età compresa tra i 20 e i 44 anni, ha messo a confronto le caratteristiche delle mestruazioni tra le donne con e senza un passato di aborto procurato. Quelle che avevano vissuto l’esperienza dell’aborto, hanno riferito un’incidenza sensibilmente superiore di crampi, gonfiore e irritabilità rispetto alle donne che non avevano mai abortito. Gli autori dello studio hanno sostenuto che tale differenza potrebbe riflettere una reazione psicologica.

            La capacità riproduttiva della donna viene portata alla sua attenzione ogni mese, durante il ciclo mestruale. Quando la sua fertilità si collega con il ricordo traumatico di un aborto, la donna potrebbe diventare più incline all’ansia, al dolore o all’irritabilità nel periodo del flusso mestruale. Tale scoperta indica che dovrebbero essere condotti ulteriori studi per individuare un collegamento tra l’aborto e la sindrome premestruale. (SPM) La SPM viene considerata una moderna epidemia. Sebbene potrebbero essere coinvolti anche tanti altri fattori, è alquanto plausibile che gran parte della sofferenza emotiva, la tensione e lo stress associati alle mestruazioni della donna, siano in realtà collegati al trauma psichico che compare in seguito a un passato di aborto o di abuso sessuale. Dice una donna:

            “Sono passati 11 anni dal mio aborto. Cercare di restare incinta è stata per me una delle mie più grandi angosce. Penso continuamente all’aborto e mi sento incredibilmente in colpa. Ogni volta che mi viene il ciclo, sprofondo nella depressione e nella paura di subire una punizione. Penso che mio marito mi lascerebbe se dovessi mai raccontargli questo segreto del mio passato. Così continuo ad andare avanti… da sola.”

 

LA NASCITA E LA MORTE DEI BAMBINI

La nascita del figlio della sorella di Tessie fu l’avvenimento scatenante che diede sfogo alla sua reazione post-aborto, anche se molto in ritardo:

            “La sera in cui mia sorella ebbe il bambino, festeggiai come una matta. Mi sballavo con la droga e bevevo continuamente. Dopo un mese dalla nascita di mio nipote venni buttata fuori dalla scuola.  Mi iscrissi a un’altra scuola ed ero sul punto di terminarla quando una notte me la squagliai con un poco di buono spietato. Per due giorni ingurgitai pasticche – eccitanti e tranquillanti - e mi sbronzai a più non posso. Finii in ospedale quasi in coma. Era il weekend del mio diploma. Stavo vivendo un profondo periodo distruttivo. Era caos allo stato puro. Odiavo completamente me stessa e volevo morire. Alla fine dell’estate restai di nuovo incinta. Sapevo che non potevo abortire di nuovo e così decisi di andare avanti da sola”.

Tessie ha fatto di tutto per anestetizzare le proprie emozioni attraverso l’abuso di droga e alcol. Ha trovato uno sfogo al suo dolore comportandosi in modo autodistruttivo, suicida e masochista. Ha punito se stessa ricorrendo alla delinquenza, alla promiscuità e all’abuso di sostanze. Alla fine, è rimasta incinta di un figlio per rimpiazzare quello abortito ed espiare il senso di colpa. La nascita dei successivi figli spesso costituisce la causa scatenante della reazione post-aborto. Un’indagine condotta dall’Elliot Institute ha evidenziato che quasi la metà delle donne interpellate ha dichiarato che le emozioni negative riguardanti l’aborto passato, sono peggiorate con la nascita dei figli successivi.

            La vista, il tocco e l’odore di un neonato possono schiacciare sopraffare i meccanismi di difesa, portando la donna a pensare: “Ho abortito un figlio come questo bellissimo bambino. Ma che cosa ho fatto?” Per Julie, questa presa di coscienza si manifestava nei suoi sogni:

            “Dopo la nascita dei miei figli in vita, ho iniziato ad avere degli incubi nei quali cercavo affannosamente nel lettino il mio bimbo “perduto”. Il mio timore non era per il figlio appena nato, perché sapevo che lui era al sicuro. Era per l’altro che stavo cercando… quello che non avrei mai trovato… quello di cui un giorno avrei sentito la mancanza e questo nessuno me lo aveva mai detto.”

Per Kelly, la negazione delle sue emozioni veniva bruscamente interrotta tutte le volte che suo marito proponeva di acquistare un regalino per il figlio appena nato della moglie di uno dei suoi amici. Dice Kelly:

            “Ho abortito due volte. Le persone che stanno per partorire mi fanno sempre scattare il ricordo dei miei aborti. Ricordo che mio marito voleva che comprassi dei regalini per i nostri amici che “stavano per avere un figlio”. Io mi infuriavo con lui. Pensavo che fosse crudele da parte sua chiedermi di andare a comprare dei regali per le donne che stavano per avere un bambino. Questo mi mandava in bestia perché lui non aveva mai riconosciuto nostro figlio.”

Per Brenda non fu la nascita di un bambino, ma la morte di sua nipote a causa della sindrome della morte “in culla” (SIDS), a rappresentare il motivo scatenante che innescò il ricordo della sua perdita mai riconosciuta:

“Allora non mi resi conto che gli eventi erano collegati, ma non avevo mai pianto la perdita del mio bambino abortito. Quando morì mia nipote la presi malissimo. Sembrava quasi che fosse mia figlia. Mollai il lavoro. Piangevo continuamente. Mi ci volle un anno circa per liberarmi del dolore”.

Poiché Brenda non aveva ancora elaborato il dolore del proprio aborto, il suo inconscio si era servito della morte della nipote come occasione per dare libero sfogo al suo dolore represso. In quel momento per la sua mente cosciente, piangere la morte della nipote era più accettabile che piangere la morte del figlio abortito, in quanto questo avrebbe implicato il dover mettere in discussione (esaminare,contestare) la sua decisione di abortire. Piangere la morte di una bambina sulla quale non poteva esercitare nessun controllo era più semplice che affrontare il proprio aborto.

 

RESTARE AGGRAPPATI AL BAMBINO

Nel capitolo 6 (Mind Games, cioè “giochi mentali”, sull’uso e abuso dei meccanismi psicologici di difesa) ho descritto il conflitto “approccio-fuga” delle donne e degli uomini che intendono affrontare le proprie emozioni irrisolte riguardo a un aborto passato, ma che al tempo stesso vogliono evitare la dolorosa manifestazione di quelle emozioni. Esiste un altro duplice aspetto interessante relativo all’esperienza abortiva che aiuta a spiegare il trauma post-aborto.

            Mentre i ricordi dell’aborto provocano dolore, i ricordi dell’essere incinta e del figlio non nato a volte vengono teneramente e gelosamente difesi.  In quest’ultimo caso, i fenomeni scatenanti legati al figlio  “mancante” potrebbero non causare un comportamento di fuga/l’evitare, ma anzi portare a un atteggiamento di approccio. Intendo dire che le donne possono custodire, coltivare e proteggere ricordi, sentimenti, relazioni o oggetti che loro associano al “figlio mancante”. Tale comportamento è analogo a quello delle famiglie a cui è morto un figlio, le quali spesso manterranno intatta la stanza del bambino che ora non c’è più, rifiutandosi per molti anni di cambiare o di spostare qualsiasi cosa. Gli oggetti del figlio, custoditi come se il bambino potesse tornare da un momento all’altro, vengono conservati come reliquie per commemorare il figlio.

            Tuttavia, nel caso di un figlio abortito, non è così semplice creare un reliquiario di oggetti in ricordo del bambino. Ma esistono dei parallelismi. Ad esempio, quando Jane ha partecipato al gruppo di supporto post-aborto, si è improvvisamente resa conto di una cosa. Rovistando nella sua borsa, ha tirato fuori una ricevuta e ha parlato al gruppo:

            Mi sono appena resa conto di aver portato con me questa ricevuta per otto anni. È la ricevuta della clinica in cui ho abortito. Non ci avevo prestato molta attenzione, ma in tutti questi anni, quando cambiavo borsa e trasferivo le mie cose, non l’ho mai gettata via. Soltanto ora ho capito perché… è l’unica cosa che ho che rappresenta un legame con mio figlio. È l’unica cosa che ho che dimostra che un tempo lui era vivo.”

            Come se delle piccole lampadine si fossero accese nelle teste delle partecipanti del gruppo, altre tre donne si misero a frugare nelle loro borse e tirarono fuori le ricevute delle cliniche in cui avevano abortito. Quello che la maggior parte delle persone avrebbe considerato un pezzo di spazzatura, per queste donne non era nient’altro che il sostituto di un “certificato di nascita”, o ancor più, un legame fisico con il figlio che non avevano mai tenuto in braccio.

Per Cindy, l’oggetto collegato al suo aborto passato, a cui si era attaccata, era un paio di pantofole:

“Quando ero nella clinica degli aborti, indossavo un paio di pantofole nuove che mi aveva regalato mia madre. Su quelle pantofole c’era il sangue che avevo perso durante il mio tragitto dal bagno al letto (dopo l’aborto). Una volta tornata a casa, ho avvolto le pantofole in un asciugamano e le ho nascoste sotto dei vestiti lunghi in fondo al mio armadio. Tutte le volte che mi trasferivo da una stanza all’altra del dormitorio e in altri appartamenti dopo il college, spostavo le pantofole e le nascondevo in fondo al mio nuovo armadio. Dopo svariati anni le lavai ma non riuscivo ancora a guardarle perché continuavo a vedere il sangue. Alla fine pensai che potevo buttarle via.”

Samantha ha mantenuto il legame con il figlio abortito facendo picchettaggio fuori dalle cliniche che praticano aborti. Era un’attivista pro-life, ma nessuno dei suoi amici seppe mai nulla del suo aborto. Sebbene fosse consapevole che l’aborto l’aveva sempre tormentata, non aveva mai detto niente a nessuno né aveva mai affrontato un processo di elaborazione del lutto. Intanto era consumata dalla compulsione di essere presente a ogni manifestazione, a prescindere da altri bisogni o da richieste familiari. Dice:

“Sono 16 anni che manifesto fuori dalle cliniche abortive. Ci vado senza mai mancare, varie volte a settimana. La mia famiglia si lamenta che sono ossessionata dall’aborto e sono d’accordo con loro. Anche se sono raffreddata e fuori nevica, mi trascino fuori dal letto. Maledico la situazione, ma sento di non poter scegliere di restare a casa. Tutta la questione aborto mi fa arrabbiare moltissimo”.

Il dolore di Samantha era incanalato in rabbiose proteste. Facendo picchetto fuori dalle cliniche abortive poteva tenere una veglia commemorativa per il figlio morto. La sua devozione e il suo sacrificio, mai vacillanti, in merito alle attività antiabortiste erano motivati da anni di dolore e senso di colpa repressi. Dopo aver partecipato a un ritiro di guarigione post-aborto, Samantha non ha più provato quell’impulso ardente e sfrenato di partecipare alle manifestazioni di protesta. Sebbene continui a essere contraria all’aborto, ora può compiere scelte più libere riguardo alle attività in cui impegnarsi. Non è più motivata da sentimenti di agitazione e sensi di colpa.


BAMBINI “SOSTITUTI”

Come precedentemente trattato nel capitolo cinque (Maternal Confusion, “Confusione materna”, cioè ambivalenza riguardo la maternità), i neonati e le donne incinte possono rappresentare un forte collegamento ad aborti passati che suscita forti sentimenti di rabbia e disgusto. Tuttavia, per alcune donne che hanno abortito, la reazione è completamente opposta. Stando a un’indagine condotta dall’Elliot Institute, circa il 20-30% delle donne intervistate ha riferito di essere diventata “eccessivamente interessata” alle donne incinte o ai neonati. Marta ha descritto le proprie emozioni come segue:

            “Dopo il mio aborto volevo disperatamente stare in mezzo ai bambini piccoli. L’aborto mi aveva lasciata vuota dentro e con un forte desiderio di tenere in braccio un neonato. Alla fine accettai un lavoro come tata presso una famiglia che aveva due gemelli appena nati e un bambino di tre anni. Entrambi i genitori erano dei professionisti ed erano a casa raramente. Mi prodigavo per quei bambini offrendo loro il mio tempo e le mie attenzioni, in particolare con i neonati. A volte provavo molta rabbia nei confronti dei genitori perché erano troppo indaffarati per occuparsi dei loro figli… ma gustavo la sensazione che i bambini avessero bisogno di me”.

            Marta ha descritto un amore e un affetto sinceri per i bambini di cui si prendeva cura. Questo soddisfaceva il suo bisogno di essere madre. Allo stesso tempo era in grado di trasferire i sentimenti di dolore e rabbia, che provava verso se stessa, sul risentimento nei confronti della madre lavoratrice, la quale non era quella “buona madre” che Marta voleva essere. Marta affrontò il suo dolore soltanto cinque anni dopo, quando i gemelli vennero iscritti all’asilo. Si sentì come se le venissero ingiustamente portati via. Questo fu l’evento che scatenò in Marta l’elaborazione del lutto per il figlio abortito.

            L’interesse di Molly per i bambini l’ha portata ad aprire un asilo in casa sua. Descrive così il suo forte desiderio:

            “Devo ammettere che il mio amore nei confronti dei bambini non si era manifestato per parecchio tempo. Cinque anni dopo il mio ultimo aborto, ebbi una figlia. Poco dopo mi fu piuttosto chiaro che avremmo potuto avere un figlio soltanto. Per lungo tempo pensai che questa fosse una sorta di punizione per i miei aborti. Ovviamente ero entusiasta della bambina che grazie a Dio avevo avuto, ma volevo altri figli. La situazione della mia amica è esattamente la stessa. Con il passare degli anni, credo che la vera realtà di ciò che abbiamo fatto e vissuto, si manifesti sempre di più. La semplice gioia di guardare una madre che allatta il proprio figlio può farmi scoppiare in lacrime. Io amo i bambini. C’è qualcosa di così puro e assolutamente innocente in loro, soprattutto nei neonati. Penso che abbia a che fare con qualcosa che non siamo state in grado di provare con i nostri figli abortiti. Amare ora tutti i bambini che possiamo, fintanto che ne avremo la possibilità, è in qualche modo positivo.”

 
TRARRE LE CONCLUSIONI

 Ogni pensiero, ogni emozione, è legato ad altri pensieri ed emozioni. Fa parte della natura umana. Non possiamo mai sfuggire a questi legami. Né vogliamo farlo. Sono fondamentali per la nostra memoria, la nostra intuizione e il nostro giudizio. Senza legami tra i nostri ricordi, le nostre emozioni e i nostri pensieri, non avremmo nessun ricordo, emozione o pensiero significativo.

            Il problema non sono in sé i connectors, cioè quei fenomeni del presente che ci riportano al passato, ma la nostra mancanza di consapevolezza del loro legame a ricordi, emozioni o pensieri negativi. Quando questi fenomeni scatenano avversione o alimentano ossessioni, il loro effetto finisce per inibire il nostro libero arbitrio. I connectors che non vengono compresi, alla fine distorcono la nostra capacità di compiere scelte razionali. Possono essere paragonati alle alette di un flipper che spuntano fuori all’improvviso nella nostra vita e ci mandano in una direzione diversa rispetto a quella in cui volevamo andare.

            Quando i connectors sono collegati a emozioni ed esperienze negative, sono lì che richiamano la nostra attenzione su questioni irrisolte. Se non vogliamo che questi connectors abbiano il controllo su di noi, se vogliamo essere liberi di scegliere il nostro percorso senza provare sentimenti di paura, ansia, depressione e senso di colpa, dobbiamo scoprire la loro origine, vederli, riconoscerli e comprenderli. Andando alla fonte di questi connectors, affrontiamo finalmente la verità e facendo questo, superiamo la nostra schiavitù della paura e degli errori del passato. Riconoscendo il passato e vedendolo per quello che è – passato – non saremo più schiavi di esso, ma saremo in grado di costruire su di esso.

            Il passato è come una grande caverna. È facile avere paura di ciò che potrebbe esserci in tutti quegli angoli oscuri. Ma quando la esploriamo con coraggio e conosciamo il suo terreno, possiamo estrarre gemme preziose e pepite d’oro. Quei ricordi legati a errori, quelle esperienze traumatiche che un tempo temevamo di esplorare, possono diventare una ricca miniera da cui estrarre “pepite” di saggezza ed empatia che ci serviranno in futuro. Esplorando questi angoli bui, questi legami angosciosi, scopriremo la determinazione e le risorse per essere d’aiuto agli altri e a noi stessi.

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Tratto da "Forbidden Grief: The Unspoken Pain of Abortion"
Copyright 2002 Theresa Burke and David C. Reardon
www.rachelsvineyard.org

Ringraziamo di cuore Chrisula per la traduzione.
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© 2009-2016 Monika Rodman, Vigna di Rachele/Rachel's Vineyard Ministries™. Tutti i diritti riservati.

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Capitolo 4
 
 
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